L’impatto ambientale degli allevamenti intensivi
- allevamenti intensivi
- 9 Dicembre 2020
Per soddisfare la crescente richiesta di prodotti di origine animale è sempre più frequente il ricorso ad allevamenti intensivi, il cui impatto ambientale ha costi elevatissimi. Purtroppo, la recente votazione finale sulla PAC (Politica Agricola Comune) ha confermato i finanziamenti riservati a questo tipo di allevamenti, circa il 30% dei fondi del bilancio comunitario.
L’effetto di questo tipo di allevamenti sugli habitat naturali è devastante sotto molti aspetti. Per cominciare, nei paesi industrializzati gli animali destinati al macello sono nutriti con cereali, soia e granturco, prodotti appositamente per gli stessi ed edibili anche per l’uomo. Prendiamo come esempio la carne bovina, spesso al centro di polemiche anche per l’elevato impatto ambientale e i costi di produzione. Se da una parte aiuta a garantire il giusto apporto dei nutrienti necessari, a seconda dell’età, del peso e del fabbisogno del consumatore, l’efficienza di conversione delle proteine alimentari nei bovini è di circa il 6%. Questo significa che per produrre 100 Kg di proteine animali ne occorrono circa 1600 kg di proteine vegetali. Mantenendo come base della loro alimentazione i cereali il prezzo di quest’ultimi salirà, e saranno penalizzati i paesi nei quali costituiscono la principale fonte di sostentamento. L’alternativa a minor impatto ambientale sarebbe sfruttare anche nei paesi industrializzati gli scarti della produzione agricola e agroforestale.
Non va sottovalutato il rischio per la salute dell’uomo. L’uso di farmaci, sia per prevenire l’insorgere di epidemie, sia come stimolanti della crescita, può contribuire al diffondersi di nuove forme di batteri resistenti ai medicinali, senza considerare i casi in cui le malattie sono state portate all’attenzione dei media, come nel caso del morbo della mucca pazza. La stessa qualità delle carni è inferiore rispetto a quella ottenuta con tecniche tradizionali, per motivi legati ad alimentazione e stile di vita degli animali.Ulteriore effetto collaterale è la contaminazione dell’acqua da parte di colibatteri e l’inquinamento delle falde acquifere. La dispersione dei reflui nelle acque superficiali provoca gravi danni a causa dell’eutrofizzazione e in generale un impoverimento delle risorse naturali del territorio.
Anche l’azione dell’uomo favorisce questi fenomeni, come nel caso del disboscamento in Amazzonia. Di qui al 2050 circa il 40% della foresta amazzonica verrà distrutta per ampliare le porzioni di territorio da destinare agli allevamenti. (Fonte: Nature, 2006)
Infine, il continuo calpestio delle grandi mandrie, compattando il suolo, riduce l’assorbimento delle piogge ed è la causa di fenomeni di desertificazione.
Ultimo punto da considerare è l’aspetto etico. Ancora oggi, in molti paesi sono attuali pratiche barbare come il debeaking, in cui viene asportato il becco alle galline per evitare che si becchino da sole. È consuetudine, inoltre, impedire agli animali di muoversi, per far si che l’atrofia muscolare renda le carni più tenere.
Sono d’accordo con Anthony Bourdain, quando nel suo libro “Il viaggio di un cuoco” dice che vedere un animale morire è stata un’esperienza che lo ha trasformato. Non ho smesso di mangiare carne, ma ho maturato un rispetto diverso e cambiato la mia prospettiva.
Matteo Felici